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Malaguti KSR. Nuova era

Nel 2018, tra gli stand di EICMA, è ricomparso uno storico marchio italiano legato al mondo delle due ruote: Malaguti.

L’azienda di San Lazzaro di Savena (BO), fondata nel 1930 da Antonio Malaguti, ha una storia simile a quella di altre piccole realtà italiane del settore. Nate come officine di biciclette, nel secondo dopo guerra si sono convertite alla produzione di motocicli e ciclomotori.


Tra gli anni Ottanta e Duemila, la Malaguti è arrivata ad essere il terzo gruppo italiano per produzione, dopo Piaggio e Aprilia. La sua storia si è interrotta nel 2011, quando i nipoti del fondatore hanno deciso di chiuderla.

Non si è trattato di fallimento, ma di una scelta voluta. Il settore in cui si era specializzata, quello dei cinquantini, stava scomparendo. Quello degli scooter “targati” invece, era ricco di concorrenti con più risorse e idee in grado di interpretare i cambiamenti del mercato.

Anziché andare incontro a un rovinoso collasso, reso più critico dalla crisi che colpì molte aziende italiane dopo il 2008, l’amministrazione decise di fermare la produzione, liquidare dipendenti e fornitori e chiudere lo storico stabilimento di Castel San Pietro (BO).

Nel 2018 il gruppo austriaco KSR ha acquistato il marchio, per rilanciarlo attraverso una partnership con Piaggio, la quale ha fornito ciclomotori della Derbi per un processo di rebadging col nome di storici mezzi della casa bolognese.


Pronti a volare

Una scena tratta dal film Top Gun_Tom Cruise accompagna il decollo del caccia F14, in sella alla Kawasaki GPZ900

Per iniziare questa storia, partiamo dal 1986. Nelle sale cinematografiche è uscito il film Top Gun, di Tony Scott, con Tom Cruise nei panni di Pete “Maverick” Mitchell, un allievo aviatore della marina militare americana che, tra una lezione e l’altra, se ne va in giro per le strade della California del sud, tutto palme e tramonti infuocati, in sella a una Kawasaki GPZ 900R. In una delle scene più famose, lo vediamo accompagnare il decollo di un Grumman F-14 Tomcat, il più noto aereo da guerra americano.

Quella sequenza è stata citata qualche anno dopo in uno spot televisivo che reclamizzava il Phantom-F12, lo scooter “pronto a volare”. Per gli adolescenti cresciuti a cavallo tra il XX e il XXI secolo infatti, i cinquantini non rappresentavano solo un economico canale d’accesso al mondo delle due ruote, ma anche una moda, uno status-symbol.

Progettato in collaborazione con l’azienda bolognese Engines Engineering (con cui la Malaguti, vedremo, collaborerà molto spesso), il Phantom era uno scooter dal carattere sportivo. La sua linea è rimasta pressoché immutata dal suo lancio, il 1994, sino al 2007, anno in cui subì un importante restyling. Adottava una serie di soluzioni tecniche all’avanguardia. Avviamento elettrico, raffreddamento a liquido, miscelatore integrato, freno a disco anteriore, forcella Paioli regolabile e ruote da 12’’ (divenute poi uno standard del settore), che gli permettevano di competere col suo diretto concorrente: l’Aprila SR, commercializzato due anni prima, nel 1992.

Come quasi tutti i cinquantini dell’epoca, la semplicità meccanica dei piccoli propulsori Minarelli, e la facilità con cui si potevano reperire i Kit di potenziamento del motore, prodotti da aziende che hanno riempito l’immaginario degli adolescenti dell’epoca (come la Polini o la Malossi), ne permetteva elaborazioni più o meno spinte, attorno a cui si alimentavano poi leggende riguardo le prestazioni raggiungibili.

Il Phantom fu uno dei mezzi che fece la fortuna della Malaguti, spingendo l’azienda emiliana ad abbracciare sempre più il settore degli scooter e lasciarsi alle spalle la produzione di ciclomotori su cui si era focalizzata negli anni precedenti.


Dai tuboni ai motorini

Negli anni Ottanta la Malaguti era molto attiva nel mercato dei ciclomotori, ovvero motociclette di piccola cilindrata che replicavano lo stile delle sorelle maggiori.

Sul fronte delle stradali spiccava la RST 50, una sportiva carenata che andava a sostituire la precedente RGT 50, per meglio competere con l’Aprilia AF1 50 Replica (antesignana della RS), la Cagiva Prima (antesignana della Mito) e la Gilera 503.

La produzione però era più intensa sul fronte enduro. Qui la Malaguti proponeva un’ampia varietà di modelli, dalla piccola Grizzly, una mini-moto da cross (6-14 anni) usata anche da Andrea Dovizioso agli albori della sua carriera, alla Runner 125, “endurona” con cui la Malaguti si affacciava su un mercato più complesso e competitivo, quello delle 125, che all’epoca rappresentavano già una cilindrata adulta.

Il suo core business restava la cilindrata cinquanta. Tra i modelli più iconici citiamo la RCX/W del 1983 (la cui linea richiamava la gloriosa Yamaha Teneré), e la Dune 50, una piccola “dakariana” che divideva il mercato con l’Aprilia RX 50 e il Gilera Sioux. Nella versione ES, la Dune ricordava una Suzuki DR Big, con tanto di becco, come va di moda oggi.

Ma il mezzo che più di tutti, in quegli anni, caratterizzò la produzione Malaguti, è stato il “tubone” per antonomasia: il Fifty.

I tuboni sono stati un tipo di ciclomotore molto in voga in Italia tra gli anni Settanta e Novanta. Nella loro poliedricità, erano mezzi che oggi potremmo definire crossover.

Col Fifty la Malaguti fece, in piccolo e a suo modo, ciò che oggi sta facendo la Honda con la famiglia NC: unire la filosofia del mondo moto con quella del mondo scooter. Ruote alte, trasmissione a catena, marce e monoammortizzatore per un assetto motociclistico, impiantati su un mezzo pratico, economico, dalla seduta ergonomica, in grado di far divertire pur mantenendo un approccio amichevole nell’utilizzo quotidiano.

Il catalogo dei modelli del Fifty Top Malaguti

La Malaguti divenne leader in questo settore. Progettato insieme alla Engines Engineering, il Fifty rimase a listino per oltre 20 anni, senza timori di concorrenza (Atala Master, Gilera Bullit, etc.). Subì pochissimi interventi estetici, ma ebbe un’elevata varietà di colorazioni e, soprattutto, di versioni, che arrivarono a ben nove all’apice del successo.

Uscì da listino nella seconda metà degli anni Novanta. Un nuovo prototipo fu presentato nel 2003, ma non fu mai prodotto: la retro-mania non era ancora di moda.


Il giro di boa

La decade 1995-2005 è stata dunque la golden-age dei motorini. In quegli anni la casa bolognese divenne un punto di riferimento del settore. Aveva modelli in grado di soddisfare le più disparate aspirazioni motoristiche dei giovani, e li dotava di soluzioni tecniche ed estetiche all’avanguardia. «Idee in moto» era lo slogan.

Oltre il Phantom, tra i modelli ricordiamo il Crosser, uno scooter pensato per il fuoristrada: ruote tassellate, forcella con ampia escursione, parafango alto e monoammortizzatore posteriore (probabilmente il primo scooter al mondo a montarlo).

Il Firefox F15 era invece uno scooter sportivo, dalle linee voluttuose e futuristiche. Disegnato dalla mano di Giorgio Mazzotti, designer italiano oggi a capo del Centro Stile MV Agusta, nel 1997 ricevette il prestigioso Good Design Award dal Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design. Tra i piccoli c’era l’F10, il primo vero e proprio scooter della casa bolognese, e il Centro, un mezzo cittadino, caratterizzato da pedana piatta, ampio sottosella e ruote da 14 pollici.

Nel 1999 la Malaguti progettò anche uno dei primi scooter elettrici: il Ciak EP. Anche se fu un flop, per via di limiti tecnologici, dimostrava l’interesse dell’azienda nel ricercare nuove soluzioni e mercati.

Tutti questi scooter, negli anni, subirono vari aggiornamenti estetici e meccanici, per adeguarsi ai tempi e alle normative. Il loro destino però era segnato. Il mercato dei cinquantini aveva ormai compiuto il suo giro di boa e si apprestava a tramontare.

Oltre alla grande crisi del 2008 che si materializzava all’orizzonte, c’erano una serie di fattori interni al settore che ne minavano un felice sviluppo. Le nuove norme del C.d.S., ad esempio, imposero l’obbligo del patentino anche per l’uso dei ciclomotori e controlli più rigidi sulle modifiche al motore. Il passaggio alla targa classica portò un aumento dei costi delle assicurazioni. Gli standard europei sulle emissioni inquinanti imponevano investimenti nel riprogettare i piccoli motori: passaggio al 4 tempi, introduzione dell’iniezione elettronica, etc. Investimenti non sempre accompagnati da adeguati volumi di vendita, dato che le nuove generazioni non sembravano più interessate a questo tipo di mezzi, almeno non come le precedenti.


Dai cinquantini ai targati

La Malaguti non produceva da sé i motori. Si serviva di fornitori esterni, come la Minarelli, che aveva una Joint-Venture con la Yamaha, la quale produceva motori anche per scooter di cilindrata compresa tra i 125 e i 250, i cosiddetti “targati”, indirizzati al commuting urbano ed extra-urbano.

L’azienda bolognese si aprì a questo mercato nel 1999 col Madison, uno “scooterone” dalle ruote basse e la linea sportiva.

Prodotto, come tutti i suoi di successo, assieme alla Engines Engineering (che aveva appena collaborato con la Yamaha per la realizzazione del primo Majestic), fu inizialmente proposto nella cilindrata di 125cc.

Negli anni crebbe, passando a 150, 180 e 200 centimetri cubici, sempre con motorizzazioni Yamaha/Minarelli, per arrivare, nel terzo restyling prodotto dal 2007 al 2011, a montare il collaudato 250cc Piaggio già in dotazione ai Beverly.

Il Madison, come il Firefox, ricevette il Good Design Award dal Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design.

Sfruttando la scia del successo del suo primo targato dunque, la Malaguti provò a ritagliarsi il suo posto anche in questo settore, ma le proposte, come il Phantom-Max, il Password o il Blog, non risultarono molto incisive per un mercato urbano, in Italia, dominato dai colossi giapponesi e dalla Piaggio.


Il grande ragno e l’harakiri

Una foto promozionale dello Spidermax 500

Menzione speciale merita lo SpiderMax, il maxi-scooter da viaggio con cui la Malaguti lanciò il guanto di sfida al Suzuki Burgman 650, forte di alcune soluzioni tecniche, al solito, all’avanguardia. Telaio in alluminio, su cui era fissato il poderoso motore Piaggio Master 460, ruote da 16 pollici, forcella anteriore a due piastre di derivazione motociclistica. Sul posteriore un vero e proprio “bagagliaio”, capace di contenere due caschi integrali.

Apprezzato dagli estimatori del marchio e da chi ama questo tipo di mezzi, lo SpiderMax non ebbe un grosso successo commerciale. Forse la causa sono state le sue forme giunoniche, o forse il fatto che il settore degli scooter di grossa cilindrata in quegli anni era in forte ascesa, e molto agguerrito.

Il punto di riferimento era (e lo è tutt’oggi) il T-Max della Yamaha. La Suzuki faceva categoria a sé col Burgman, e la Honda si poneva a metà strada con il Silver Wing. Le taiwanesi Kymico e Sym si stavano ritagliando il loro spazio con prodotti economici ma affidabili.

Sul fronte italiano, Aprilia e Gilera seguivano la vocazione sportiva sfoderando corazzate commercialmente fallimentari, come il GP800 e l’SRV Max. Più fortunato fu, sempre in casa Gilera, il Nexus 500, un progetto evoluto negli anni e oggi divenuto, come vedremo, base costruttiva del nuovo Madison.

Per la Malaguti, ritagliarsi un ruolo di prim’ordine in questo mercato non era semplice. Le dirette concorrenti furono assorbite da colossi più grandi: Gilera e Aprilia inglobate nel gruppo Piaggio, mentre la Benelli dalla cinese Q.J. Motors) e dunque disponevano di altrettanto grandi capitali. Alcune decisero di puntare solo su nicchie precise (come fece la Betamotor). Altre invece provarono a sopravvivere, prima di morire e rinascere sotto altre forme e indirizzi (Italjet o Garelli).

La Malaguti decise, più onestamente, di abbandonare il campo dopo 81 anni di attività. Come l’harakiri poteva essere fatto dal samurai alla morte del proprio signore, così fece l’azienda bolognese alla morte del proprio settore. Era il 2011.


Un giro in pista

Negli anni in cui la Malaguti operava, parte del successo dei suoi diretti concorrenti era dovuta anche all’attiva presenza nel mondo delle corse.

L’Aprilia, ad esempio, faceva incetta di successi nelle classi 125 e 250 del motomondiale. Portando alla vittoria piloti come Valentino Rossi, Max Biaggi, Loris Capirossi e Jorge Lorenzo, proponeva i modelli stradali con le livree replica dei suoi campioni (in particolare la gamma SR ed RS), ottenendo un grosso successo di vendite.

La Malaguti non aveva una scuderia, ma tentò un’incursione nel motomondiale 125 nel 2003. Correva con una moto costruita dalla Engines Engineering, affidata al Team Semprucci e guidata dall’italiano Fabrizio Lai e dallo spagnolo Julian Simón. L’avventura durò appena tre anni, e non permise all’azienda di ottenere risultati soddisfacenti e dunque spendibili in termini d’immagine.

Le livree “sportive” del team (dai colori giallo-blu) furono proposte sulla Drakon, una piccola naked (50cc) prodotta tra il 2005 e il 2006, ma fu un flop commerciale. La Malaguti aveva però un vicino di casa importante, che nel mondo delle competizioni ci sguazzava da un po’, con ottimi risultati: la Ducati.

Così, gli scooter sportivi della casa San Lazzaro vennero proposti nelle livree dei piloti che in quegli anni correvano per le scuderie di Borgo Panigale: Carl Fogarty, Troy Bayliss, Loris Capirossi e Casey Stoner.


Il passaggio di proprietà

Qualche anno dopo, due dei prodotti di maggior successo del marchio sono rispuntati in circolazione in Spagna. Si trattava del Madison e del Phantom. I progetti furono ceduti alla Rieju, azienda con cui la Malaguti collaborava sin dagli anni Ottanta – il pilota Carlos Checa, ad esempio, iniziò la sua carriera in sella a una RST ribrandizzata Rieju.

Piccola nota di colore: nel 2017 un ragazzo pugliese di 23 anni, Luca Santo, sostenne di aver rilevato il marchio – decaduto perché non utilizzato per più di cinque anni. E affermò di esser pronto a rilanciare l’azienda attraverso una partnership commerciale con un’azienda cinese che avrebbe fornito i mezzi.

La notizia è stata ripresa da diverse testate giornalistiche, tra cui La Stampa. Nelle pagine del quotidiano torinese arrivò presto la smentita della famiglia emiliana: «non siamo affatto defunti» dissero, «non abbiamo nessun motivo che qualcun altro ci faccia risorgere».

Quel “qualcun altro” arrivò presto però, sotto il nome di KSR, multinazionale austriaca che già possiede, tra l’altro, i marchi Brixton e Lambretta.

Il colosso (da non confondere con KTM), non è un vero e proprio “produttore” di motociclette, ma un’azienda che, più semplicemente, acquista prodotti e progetti e li rivende sotto i marchi che possiede. La KSR è un Luca Santo che ce l’ha fatta? Forse sì.


Un nuovo inizio

La nuova Dragon della linea Malaguti-KSR

Tra i primi prodotti a listino della nuova linea Malaguti-KSR spicca il Madison 300. A un occhio anche distratto sarà capitato di notare, sotto la nuova livrea, i fari a led e una strumentazione totalmente digitale, una vecchia conoscenza italica: il Gilera Nexus, scooter dall’indole sportiva arrivato sul mercato nel 2003 con l’obiettivo di competere con il T-Max.

Nonostante le “raffinatezze” progettuali (come la forcella posteriore Kayaba), il prodotto di casa Gilera non impensierì il rivale giapponese. Dopo sei anni di servizio uscì di listino. Ne esisteva anche una versione 300, sempre motorizzata Piaggio. È quella in cui il nuovo Madison si è reincarnato, dopo che questa operazione, tra il 2011 e il 2018, fu fatta anche dall’Aprilia con l’SR Max 300.

Niente di losco, si tratta di Badge engineering, un sistema a basso costo che permette a un’azienda di applicare a un prodotto già esistente il proprio marchio. I vantaggi di questa operazione sono molteplici: risparmiare sui costi di progettazione e sviluppo, occupare settori in cui di solito non si opera, inserirsi in mercati “conservatori”, evitare di pagare tasse d’importazione.

In una economia di scala è normale che un gruppo che possiede più marchi faccia nascere da una stessa base progettuale più prodotti, sulla cui vendita può incidere anche il prestigio del marchio che lo propone o la nicchia di mercato che occupa.

Oggi il progetto Nexus è passato dalla Piaggio alla Malaguti-KSR, che ha acquistato anche altri progetti dall’azienda italiana. Infatti, anche se il Madison rimane, ad oggi, l’unico scooter a listino, il sodalizio commerciale tra i due colossi è evidente nella proposta di sportive, enduro e adventure bike che rievocano i ciclomotori storici della Malaguti. Per questo settore la Piaggio ha ceduto alla KSR i progetti della Derbi, un’azienda spagnola che dal 2001 fa parte del gruppo di Pontedera. Così la nuova RST altro non è che una vecchia Derbi GPR; la Monte pro una Derbi Mulhacén Café; la XSM una Senda DRD; la Duna una Terra Adventure, e così via.

Come detto, in tutto questo non c’è nulla di illegale, è una prassi commerciale delle aziende che operano a livello internazionale.


Due considerazioni finali

Vedere a listino una serie di progetti di un produttore spagnolo rivenduti da un colosso italiano a una multinazionale austrica che li reclamizza con un payoff che recita «The spirit of Bologna», vien da sorridere. Ma nella vita le cose, si sa, vanno prese anche con ironia e razionalità.

Tuttavia, il settore delle moto non è come il settore degli elettrodomestici. Non si tratta di oggetti che devono assolvere un compito ma di beni che creano attorno al brand un’affezione storica, estetica e ingegneristica. Nei progetti di Badge engineering questo si perde.

In ogni caso, la nuova Malaguti-KSR sta progettando una piccola 125 tutta sua: la Drakon. Restyling del modello proposto dall’azienda bolognese nel lontano 2005, dovrebbe arrivare nel 2021.


La Malaguti ha, senza dubbio, scritto una pagina di storia del settore motociclistico italiano, dando notorietà e lustro alla motor valley emiliana. Ha portato innovazioni tecniche e stilistiche nel settore e, soprattutto, ha fatto sognare migliaia di ragazzini.

Oltre questo, è stata anche un’azienda che non ha avuto la capacità, o la forza economica, di rinnovarsi in un momento critico per tutto il settore. Di sua iniziativa ha deciso di ritirarsi dal gioco e poi vendere il marchio.

Credo che tutti si aspettino ora che la KSR non si limiti a sfruttare commercialmente il marchio, ma provi a riprenderne la filosofia aziendale. Quest’idea sembra lontana, almeno a vedere il listino ora. In ogni caso, staremo a vedere. Se la rinascita della Malaguti riavvicinerà al mondo delle due ruote i ragazzi, sarà tanto di guadagnato per il settore.


[in copertina, foto promozionale della RST125, fonte KSR-Group]

2 comments / Add your comment below

  1. Tutto bellissimo solo che se fai un incidente la Malaguti non non ha i pezzi di ricambio.
    Storia Malaguti RST 125 nuova bellissima acquistata da un concessionario di Francavilla al Mare immatricolata il 17 giugno 2021 esattamente un anno dopo l’11 giugno 2022 causa un pirata della strada (non si è fermato) il quale taglia la strada urtando la moto, causando la caduta del conducente (mio figlio) e di un suo amico passeggero. Danni carena, strumentazione e altri ricambi. Bene dal mese di giugno 2022 sono passati ben sei mesi la moto è ferma non sono disponibili i pezzi di ricambio.
    Sicuramente oggi non comprerei MAI una Malaguti KSR orientandomi su costruttori collaudati.
    Giovanni Sciarrillo

    1. Ciao Giovanni, intanto grazie per aver letto il pezzo e aver commentato. Mi spiace per la disavventura, effettivamente in questi anni sembra che la KSR non si sia impegnata troppo nel curare la vendita e l’assistenza del marchio Malaguti. Del resto si tratta di un brand che produce mezzi che oggi non hanno una grossa fetta di mercato, perciò è probabile che ci abbiano investito il minimo necessario, trascurando poi il rilancio la crescita del progetto. Un peccato. Tuttavia, trattandosi di mezzi “ribrandizzati”, potresti provare a verificare che non ti sia più facile trovare i pezzi di una Derbi GPR, che in fondo è più o meno la stessa moto e potrebbero essere compatibili i pezzi di ricambio, almeno quelli essenziali a far riprendere la strada al mezzo. Un saluto

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